Beniamino Joppolo
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BIOGRAFIA di Katia Trifirò
Intellettuale multiforme e poliedrico, siciliano fatalmente attratto dall’Europa, Beniamino Joppolo (Patti, 1906 – Parigi, 1963) apporta il proprio originale contributo all’innovazione novecentesca dei codici artistici attraverso una imponente elaborazione teorica e una produzione letteraria copiosa e ancora in parte inedita, che fonda una poetica ascrivibile all’area dell’assurdo e dell’esistenzialismo, esito ultimo di una straordinaria e complessa avventura artistica ed umana.
Dopo aver compiuto il primissimo tirocinio poetico in quel clima di estenuato simbolismo che, nell’area orientale dell’isola, contamina le scritture dei futuristi siciliani che fanno capo a Ruggero Vasari, Gugliemo Jannelli e Vann’Antò, Joppolo esordisce nel 1929 con la raccolta di liriche I canti dei sensi e dell’idea. Ma è il soggiorno fiorentino, compiuto negli anni universitari, che consente al giovane Joppolo di sperimentare soluzioni narrative inedite, destinate a confluire nei racconti di stampo surrealista della silloge C’è sempre un piffero ossesso (1937).
Poesia, narrativa, saggistica, drammaturgia, pittura sono sperimentate dall’autore in una recherche inesausta, volta a fluidificare e dissolvere i confini tra i generi con l’ambizione di creare, dalla disgregazione dei linguaggi e dalla scomposizione delle forme, una fusione alchemica delle arti coincidente con i principi filosofici dell’abumanesimo, teoria condivisa a Parigi insieme a Jacques Audiberti, suo traduttore in francese.Prima della capitale parigina, dove arriva nel 1954 concludendovi il proprio tormentato percorso creativo ed esistenziale, Joppolo frequenta intensamente gli ambienti milanesi gravitanti attorno alla rivista «Corrente», giungendo al teatro nella stagione fortunata di “Palcoscenico”. In questo contesto vengono portati in scena i suoi lavori Il cammino e L’ultima stazione, nel 1941: quest’ultimo, con la regia di Paolo Grassi e le scene di Italo Valenti, ha come interpreti principali Strehler, Feliciani e Parenti e lascia calare il sipario su quella fase sperimentale che lega il teatro joppoliano alla storia della regia in Italia. Il dato biografico è sempre presente nei suoi lavori, che ospitano un immaginario connesso alla follia e alla violenza: temi attraverso cui sono evocati gli anni del secondo conflitto bellico e del confino, subito dall’autore per la propria militanza antifascista, cui seguirà la resistenza partigiana, nel segno di un impegno civile di cui tengono traccia i numerosi romanzi, da La giostra di Michele Civa (1945) al postumo La doppia storia (1968).
Tra le molteplici suggestioni offerte dalla sconfinata produzione narrativa e drammaturgica di Joppolo, si delinea la caratura antirealista, nella sperimentazione audace di tecniche ascrivibili tutte al campo della visione trasfigurante – dalla deformazione grottesca al gusto parodico e sarcastico, dal delirio onirico-occultista alla cifra fantastica –, che finiscono per essere funzionali ad una critica della società tanto più corrosiva quanto più vengono dissolti gli stereotipi linguistici e culturali che la dominano. A rivelarlo è, tra l’altro, la sua pièce più nota, I carabinieri (1945), un apologo antimilitarista sul potere e sulla guerra che conosce, oltre a diverse rappresentazioni (tra cui quella del 1962 al Festival dei Due Mondi di Spoleto, per l’unica regia teatrale di Roberto Rossellini), anche la riduzione cinematografica di Jean-Luc Godard.
JOPPOLO PITTORE di Giovanni Joppolo
Joppolo è stato un protagonista nel contesto artistico del dopoguerra, sia come critico d’arte che come pittore. Partecipò con Lucio Fontana ed altri alla nascita della pittura informale in Italia. Joppolo ha lasciato circa duecento quadri e disegni di cui un gruppo consistente è presente nelle collezioni del Museo civico di Gibellina in Sicilia.
La pittura di Joppolo è legata all’espressionismo astratto degli anni cinquanta. Joppolo ha incontrato la pittura con la critica d’arte, e ha iniziato a dipingere perché pensava che la pittura fosse un mezzo di esprimere la libertà del gesto. Joppolo voleva esprimere attraverso il gesto tutta la sua carica emotiva, visualizzare la sua energia. La sua pittura è stata oggi rivalutata e viene esposta regolarmente nell’ambito delle rassegne nazionali e internazionali dedicate al movimento spaziale che egli contribuì a teorizzare accanto a Lucio Fontana. È peraltro presente nelle collezioni del Museo del Novecento di Milano e della Galleria d'Arte Moderna Empedocle Restivo di Palermo.
Joppolo ha dipinto tra il 1948 e il 1963. Un primo periodo va dal 1948 al 1954, data alla quale si traferisce a Parigi dove muore nell'autunno del 1963. I quadri dipinti durante questi sei anni sono sicuramente i più importanti per la loro inventività. Sono del resto quelli che coincidono con il periodo di maggior fermento spazialista anche perché il movimento si esaurisce presto dopo il 1954, lasciando Lucio Fontana solo protagonista dell'idea spaziale. Il periodo parigino è anch'esso dinamico e si caratterizza per una sua natura più astratta la cui fattura si rivela più ruvida, primordiale.
Si tratta quindi di un'intensa attività pittorica che si concentra su una durata di quatordici anni e che viene ad aggiungersi alla più prolifica attività principale di Joppolo, quella teatrale.